GIULIA STAVA

Le trecce cadevano ancora umide di mare sulle spalle abbronzate.
Così in silenzio Giulia si abbracciava le ginocchia. Era seduta sulla sabbia quasi fredda della giornata che stava finendo.
E lo sguardo andava lontano. Alle increspature appena visibili all’orizzonte. Là dove il sole, pronto per tuffarsi, tingeva le acque di rosso e viola.
Giulia era in attesa.
Del momento finale.
Di quello sfrigolio che annunciava l’ultimo saluto scaramantico del sole e il benvenuto alla notte fatata.

Le capitava sovente di rimanere lì, a osservare lo specchio solitario delle acque in quella caletta lontana dalla gente. Il gommone arenato sulla spiaggia e il profumo di gelsomino che lentamente inondava quel piccolo angolo di pace.

Ma non si sentiva sola. Mai.
Percepiva il formicolio della vita che, come una cantilena, risuonava nella sua anima.
Lì più che in altri posti.
In quello spazio sospeso tra terra e mare.
In quell’attimo affacciato tra giorno e notte.
In quel dove così lontano dall’accozzaglia rumorosa di quello che i più ritenevano vita.

Felicità piena mentre un sorriso naturale le si dipingeva sul viso.
Giulia era.
Giulia stava.

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