Una dracma era in fondo alla scatola dei fili. Stava lì solitaria. Silenziosa e discreta vestita di grigio opaco. Con un lungo graffio a sfregiarne l’effige.
Come fosse finita tra gli aghi e gli altri strumenti da rammendo proprio non se lo ricordava. Ma sembrava che adesso le stesse parlando. Che le urlasse quanto la sua mente fosse ottenebrata dal correre quotidiano. I pantaloni le penzolavano in grembo. Le mani stingevano la stoffa e gli occhi non si staccavano da quel cerchio di metallo.
Correre senza un nome. Liquida tra le fandonie di ogni giorno.
Si appoggiò al bracciolo del divano. Stanca e infreddolita in quell’autunno carico di pioggia.
Ma sapeva di voler essere lì. Affaccendata per riuscire ad arrivare a fine mese. Tra lavoro e figli, senza praticamente nient’altro che potesse sollevarla dai doveri.
Ormai aveva smesso di credere che sarebbe tornato. Lo sapeva che aveva preferito le fragole alla calda minestra di casa. Ci si era abituata. Non c’era più dolore. Solo un costante velo di pungente malinconia.
Scrosciare di pioggia al di là della finestra.
Ma prima o poi avrebbe smesso.
Ne era certa.