Era seduto su quella panchina da un po’. Un mazzo di fiori colorati tra le mani.
Romanticismo. Certo qualcuno avrebbe potuto dirlo vedendolo lì.
Sentiva gli sguardi di approvazione delle donne che passavano a braccetto. Si guardano complici e sorridevano. A lui.
Gli si era avvicinato persino un signore un po’ avanti con gli anni che passeggiava con il suo cane.
“Che bel pensiero, anche io una volta portavo sempre i fiori a mia moglie!” un sorriso un po’ triste si accennò sul suo viso perso in un labirinto di rughe, “Adesso ho solo più lui” il cane gli stava vicino e lo guardava con innocenza, come se capisse di essere stato tirato in causa, “spero che la malattia non me lo porti via ancora per in po’…”
Nonostante sentisse un abisso di emozioni a dividerlo da quell’uomo così sincero, lo ringraziò. Anche a Elsa piacevano un sacco i fiori. Certo non poteva dirgli il resto.
Perché la verità era che non voleva nessuno accanto a lui su quella panchina.
Non voleva più neppure Elsa.
La sua amata Elsa. Che con la sua freschezza aveva reso gli ultimi anni i più felici mai vissuti.
E allora perché non si schiodava da lì? Lei lo stava aspettando a casa sua.
Una vocina gli stava urlando di smetterla. Di alzarsi. Di fare pace con se stesso. Di sotterrare quella voglia di distruzione che si era aggrappata famelica alla sua vita.
Ma cosa le avrebbe potuto dare?
Non era giusto lasciare che si rovinasse la vita con lui. Lui che viveva ancora a casa con i suoi. Con le sue liriche non l’avrebbe certo potuta mantenere. Non adesso che oltretutto aveva pure perso il misero lavoro ‘serio’ che era riuscito a trovare. Così diceva sua madre. ‘Serio’. Perché scrivere di certo non lo era. Non metteva il pane in tavola. Questo lo diceva suo padre. E Il significato era lo stesso.
Aveva un anello in tasca e un mazzo di fiori in mano. Ma la sua coscienza gli diceva che non era giusto legarla a lui. Bisbigliava da tempo, con determinatezza crescente. E quel sussurro era più forte di ogni incitamento ad alzarsi. Appoggiò i fiori e si prese la testa tra le mani. Stringeva i capelli, voleva strapparseli. Non valeva nulla.
Si sentiva disperato.
Il mondo non c’era più intorno a lui. Solo la sua tristezza.
E il dolore di non poter stare più con lei.
“Non ti devi disperare, tutto si sistema. Se hai la donna giusta accanto.”
Alzò lo sguardo e vide gli occhi grigi di quell’anziano signore che lo fissavano gentili.
“Non la merito…” non riusciva a dire altro, un groppo in gola bloccava le parole.
Si sedette accanto a lui. Con fatica. Mentre il cagnolino si accomodava ai suoi piedi.
E lo abbracciò. Con la sicurezza di chi sa.
“La mia Maria lo faceva sempre quando mi sentivo giù.”
Avrebbe voluto abbracciarlo anche lui. Tentennava nel lasciarsi andare.
Una lacrima faceva capolino. Appoggiò la testa sulla spalla di quello sconosciuto. Con leggerezza.
E sentì un gorgoglio nel centro del petto.
Che divenne frusciate.
E si allargava dal cuore schiacciando i polmoni. Spingendo fuori l’aria. Impedendo il respiro.
Un vortice che strappava e sollevava i sentimenti uno alla volta.
Totale.
Quella lacrima in bilico iniziò a scivolare. Insieme a tante altre. Lì nascosto sulla spalla di quello sconosciuto poteva lasciarsi andare.
Non si vergognava.
Era lui. Libero di esserlo.
Anche di cambiare idea accettando quel che era.
Libero di andare da Elsa.
Toccò la tasca e sentì la sagoma della scatolina sotto le dita.
Poteva ancora scegliere.
Nonostante tutto.